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Le Opere - Turandot



« Chi quel gong percuoterà 
apparire la vedrà 
bianca al pari della giada 
fredda come quella spada
è la bella Turandot! »
(Coro, atto I)

Turandot

è un'opera in 3 atti e 5 quadri, su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, lasciata incompiuta da Giacomo Puccini e successivamente completata da Franco Alfano.
La prima rappresentazione ebbe luogo al Teatro alla Scala di Milano il 25 aprile 1926, sotto la direzione di Arturo Toscanini, il quale arrestò la rappresentazione a metà del terzo atto, due battute dopo il verso «Dormi, oblia, Liù, poesia!», ovvero dopo l'ultima pagina completata dall'autore, rivolgendosi al pubblico con queste parole: «Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto.» La sera seguente, l'opera fu rappresentata, sempre sotto la direzione di Toscanini, includendo anche il finale di Alfano.
L'incompiutezza dell'opera è oggetto di discussione tra gli studiosi. C'è chi sostiene che Turandot rimase incompiuta non a causa dell'inesorabile progredire del male che affliggeva l'autore, bensì per l'incapacità, o piuttosto l'intima impossibilità da parte del Maestro di interpretare quel trionfo d'amore conclusivo, che pure l'aveva inizialmente acceso d'entusiasmo e spinto verso questo soggetto. Il nodo cruciale del dramma, che Puccini cercò invano di risolvere, è costituito dalla trasformazione della principessa Turandot, algida e sanguinaria, in una donna innamorata.

Caratteri generali
Il soggetto dell'opera fu tratto dall'omonima fiaba teatrale di Carlo Gozzi, già oggetto di importanti adattamenti musicali: dalle musiche di scena composte da Carl Maria von Weber nel 1809, all'opera di Ferruccio Busoni, rappresentata nel 1917 e preceduta da suite orchestrale (op. 41) eseguita per la prima volta nel 1906.
Più esattamente, il libretto dell'opera di Puccini si basa, molto liberamente, sulla traduzione di Andrea Maffei dell'adattamento tedesco di Friedrich Schiller del lavoro di Gozzi. L'idea per l'opera venne al compositore in seguito a un incontro con i librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni, avvenuto a Milano nel marzo 1920. Nell'agosto dello stesso anno il compositore poté ascoltare, grazie al suo amico barone Fassini, un carillon con temi musicali proveniente dalla Cina. Alcuni di questi temi sono presenti nella stesura definitiva della partitura.
Alla fine della sua parabola creativa Puccini si cimentò con un soggetto fiabesco, d'impronta fantastica. Non era mai accaduto, se si eccettua la scena finale della sua prima opera, Le Villi.

Trama
L'azione si svolge a Pechino, «al tempo delle favole». la storia narra della crudele principessa Turandot che, non volendo sottostare ad alcun matrimonio, organizza una gara nella quale i suoi pretendenti dovevano risolvere 3 indovinelli:il vincitore potrà chiedere in cambio qualsiasi cosa, ma chi sbaglia pagherà con la vita. Sarà un principe sconosciuto che si aggiudicherà la vittoria, e con il suo coraggio e amore conquisterà il cuore di Turandot.

Atto I

Un mandarino annuncia alla folla che il principe di Persia, non avendo risolto i tre enigmi proposti da Turandot, sarà decapitato pubblicamente. All'annuncio, tra la folla, sono presenti un vecchio e una donna. Quest' ultima chiede aiuto. Accorre allora un giovane, che riconosce nell'anziano suo padre, Timur, re tartaro spodestato. Si abbracciano commossi e il giovane Calaf prega il padre e la schiava Liù, molto devota, di non pronunciare il suo nome: ha paura, infatti, dei regnanti cinesi, i quali hanno usurpato il trono del padre. Nel frattempo il boia affila la lama preparandola al momento dell'esecuzione, fissata per il momento in cui sorgerà la luna.
Ai primi chiarori lunari, entra il corteo che accompagna la vittima. Alla vista della vittima la folla, prima eccitata, si commuove e invoca la grazia per il condannato. Turandot allora entra e, glaciale, ordina il silenzio alla folla e con un gesto dà l'ordine al boia di giustiziare l'uomo.
Calaf, impressionato dalla regale bellezza di Turandot, decide di tentare anche lui la risoluzione dei tre enigmi. Timur e Liù tentano di fermarlo, ma lui si lancia verso il gong dell'atrio del palazzo imperiale. Tre figure lo fermano: Ping, Pong e Pang, tre ministri del regno, che tentano di convincere Calaf descrivendo l'insensatezza dell'azione che sta per compiere. Ma Calaf, quasi in una sorta di delirio, si libera di loro e suona tre volte il gong, invocando il nome di Turandot.

Atto II

È notte. Ping, Pong e Pang si lamentano di come, in qualità di ministri del regno, siano costretti ad assistere alle esecuzioni delle troppe sfortunate vittime di Turandot, mentre preferirebbero vivere tranquillamente nei loro possedimenti in campagna.
Sul piazzale della reggia, tutto è pronto per il rito dei tre enigmi. L'imperatore Altoum invita il principe ignoto, Calaf, a desistere, ma quest'ultimo rifiuta. Il mandarino fa dunque iniziare la prova mentre entra Turandot. La bella principessa spiega il motivo del suo comportamento: molti anni prima il suo regno era caduto nelle mani dei tartari e, in seguito a ciò, una sua antenata era finita nelle mani di uno straniero. In ricordo della sua morte, Turandot aveva giurato che non si sarebbe mai lasciata possedere da un uomo: per questo, aveva inventato questo rito degli enigmi, convinta che nessuno li avrebbe mai risolti.
Calaf riesce a risolvere gli enigmi e la principessa, disperata, si getta ai piedi del padre, supplicandolo di non consegnarla allo straniero. Ma per l'imperatore la parola data è sacra. Turandot si rivolge allora al Principe e lo ammonisce che in questo modo egli avrà solo una donna riluttante e piena d'odio. Calaf la scioglie allora dal giuramento proponendole a sua volta una sfida: se la principessa prima dell'alba riuscirà a indovinare il suo nome, egli si sottoporrà alla scure del boia. Il nuovo patto è accettato, mentre risuona un'ultima volta, solenne, l'inno imperiale.

Atto III

È notte e in lontananza si sentono gli araldi che portano l'ordine della principessa: quella notte nessuno deve dormire, il nome del principe ignoto deve essere scoperto a ogni costo. Calaf intanto è sveglio, sognando le labbra di Turandot, finalmente libera dall'odio e dall'indifferenza.
Giungono Ping, Pong e Pang, che offrono a Calaf qualsiasi cosa per il suo nome. Ma il principe rifiuta. Nel frattempo, Liù e Timur vengono portati davanti ai tre ministri. Appare anche Turandot, che ordina loro di parlare. Liù, per difendere Timur, afferma di essere la sola a conoscere il nome del principe ignoto, ma dice anche che non svelerà mai questo nome. Subisce molte torture, ma continua a tacere, riuscendo a stupire Turandot: le chiede cosa le dia tanta forza per sopportare le torture, e Liù risponde che è l'amore a darle questa forza.
Turandot è turbata da questa dichiarazione, ma torna ad essere la solita gelida principessa: ordina ai tre ministri di scoprire a tutti i costi il nome del principe ignoto. Liù, capendo che non riuscirà a tenerlo nascosto ancora, riesce a prendere un pugnale e a uccidersi, cadendo esanime ai piedi di Calaf.
Il corpo senza vita di Liù viene portato via seguito dalla folla che prega. Turandot e Calaf restano soli e lui la bacia. La principessa dapprima lo respinge, ma poi ammette di aver avuto paura di lui la prima volta che l'aveva visto, e di essere ormai travolta dalla passione. Tuttavia ella è molto orgogliosa, e supplica il principe di non volerla umiliare. Calaf le fa il dono della vita e le rivela il nome: Calaf, figlio di Timur.
Il giorno dopo, davanti al palazzo reale, davanti al trono imperiale è riunita una grande folla. Squillano le trombe e Turandot afferma di conoscere finalmente il nome dello straniero: "Amore!". Tra le grida di giubilo della folla, abbraccia Calaf abbandonandosi tra le sue braccia.

Il finale incompiuto

La partitura pucciniana è rimasta incompiuta a causa della prematura morte dell'autore, stroncato nel novembre del 1924 da un tumore maligno alla gola. Del finale pucciniano restano solo alcuni abbozzi, sparsi su 23 fogli che il Maestro portò con sé presso la clinica di Bruxelles in cui fu ricoverato nel tentativo di curare il male che lo affliggeva. Puccini non aveva indicato esplicitamente nessun altro compositore per il completamento dell'opera. L'editore Ricordi decise allora, su pressione di Arturo Toscanini e di Antonio, il figlio di Giacomo, di affidare la composizione a Franco Alfano, che due anni prima si era distinto nella composizione di un'opera, La leggenda di Sakùntala, caratterizzata da una suggestiva ambientazione orientale.
La composizione del finale procedette lentamente a causa sia della malattia agli occhi di cui Alfano soffriva che della richiesta da parte dell'editore Ricordi, sollecitato da Toscanini, che non ritenne all'altezza una prima versione consegnata, di rifare il lavoro. Nella nuova versione (comunemente eseguita), Alfano fu costretto ad attenersi più fedelmente agli schizzi e a tagliare oltre cento battute. L'effetto di questi interventi, che l'autore eseguì controvoglia, è avvertibile nella condotta armonica e drammatica. Inoltre Alfano trascurò alcuni schizzi di Puccini e richiese la partitura d'orchestra del resto dell'opera solo pochi giorni prima di consegnare il lavoro.

A partire dalla scoperta della prima versione di Alfano, sono state studiate e proposte varie soluzioni alternative. Una compositrice statunitense, Janet Maguire, si è cimentata nello studio degli abbozzi per dodici anni (1976-1988) per comporre una nuova versione del finale. La sua versione non è stata tuttavia eseguita in pubblico. Si dovette attendere il 2001 per ascoltare un nuovo finale di Turandot, commissionato a Luciano Berio dal Festival de Musica de Gran Canaria, basato anch'esso sugli abbozzi lasciati da Puccini e ufficialmente riconosciuto dalla Ricordi.
Il punto più controverso del materiale lasciato da Puccini è costituito dall'episodio del bacio. È il momento clou dell'intera opera: la trasformazione di Turandot da principessa di gelo a donna innamorata. Se nell'abbozzo pucciniano le prime 56 battute del finale sono già ad uno stadio di elaborazione avanzato, questo episodio appare forse abbozzato in uno foglio, secondo l'ipotesi di Harold Powers e William Ashbrook.[1]
Se Berio ha imbastito un esteso episodio sinfonico a partire da questa pagina, Alfano si limitò a comporre sedici nuove battute, ridotte nella versione definitiva a un solo accordo seguito da pochi colpi di timpano.
In un precedente schizzo di Puccini, al medesimo episodio è abbinato un diverso materiale tematico. Sul foglio 11 recto egli aveva infatti scritto le ultime due battute, seguite da una battuta con un accenno del tema per il bacio, per poi cancellarle e riscriverle sull'altro lato del foglio. Il tema in questione è lo stesso che poche battute prima Turandot canta sulle parole «No, mai nessun m'avrà! Dell'ava lo strazio non si rinnoverà!»: ciò sembrerebbe attestare come l'idea del compositore lucchese potesse essere radicalmente diversa da quella dei suoi più giovani colleghi. Un bacio su questo tema accentrerebbe infatti l'attenzione sul cedimento della principessa, piuttosto che sul suo orgoglio ferito, come nella versione di Alfano, o sulla trasformazione più interiorizzata della versione di Berio.

Organico orchestrale
L'orchestra prevede l'utilizzo di:
Legni:
3 flauti (III anche ottavino)
2 oboi
corno inglese
2 clarinetti in Sib
clarinetto basso in Sib
2 fagotti
controfagotto
Ottoni:
4 corni
3 trombe
3 tromboni
trombone contrabbasso
Percussioni:
piatti
gong cinese
timpani
triangolo
rullante
grancassa
tam-tam
Archi
Altri strumenti:
glockenspiel
xilofono
xilofono basso
campane tubulari
celesta
2 arpe
organo
Orchestra sul palcoscenico
sassofono contralto in Mib
6 trombe in Sib
3 tromboni
trombone basso
gong grave

Brani celebri

Atto I

Gira la cote!, (coro del popolo e dei servi del boia)
Invocazione alla luna (coro)
Là sui monti dell'est (coro di ragazzini che invocano Turandot; melodia tratta dalla canzone folk cinese Mo Li Hua).
Signore, ascolta!, romanza di Liù
Non piangere, Liú!, romanza di Calaf
Concertato finale

Atto II

Olà Pang! Olà Pong!, terzetto delle maschere
In questa reggia, aria di Turandot
Straniero, ascolta!, scena degli enigmi

Atto III

Nessun dorma, romanza di Calaf
Tanto amore, segreto e inconfessato [...] Tu, che di gel sei cinta, aria di Liù (in due parti)
Bibliografia
William Ashbrook, Harold Powers, Turandot di Giacomo Puccini. La fine della grande tradizione, Ricordi, Milano 2006. ISBN 978-88-7592-823-0 (edizione originale in lingua inglese, Puccini’s Turandot. The End of the Great Tradition, Princeton, Princeton University Press, 1991. ISBN 0-691-09137-4).
Jürgen Maehder, Turandot (con Sylvano Bussotti), Pisa (Giardini) 1983.
Jürgen Maehder, Puccini’s »Turandot« – Tong hua, xi ju, ge ju, Taipei (Gao Tan Publishing) 1998, 287 pp. (in collaboratione con Kii-Ming Lo).
Jürgen Maehder, Puccini’s »Turandot« – A Fragment, in: Nicholas John (ed.), Turandot, London (John Calder)/New York (Riverrun) 1984, pp. 35-53.
Jürgen Maehder, Studi sul carattere di frammento della »Turandot« di Giacomo Puccini, in: Quaderni Pucciniani 2/1985, Milano (Istituto di Studi Pucciniani) 1986, pp. 79-163.
Jürgen Maehder, La trasformazione interrotta della principessa. Studi sul contributo di Franco Alfano alla partitura di »Turandot«, in: Jürgen Maehder (ed.), Esotismo e colore locale nell'opera di Puccini, Pisa (Giardini) 1985, pp. 143-170.
Jürgen Maehder, »Turandot«-Studien, Deutsche Oper Berlin, Beiträge zum Musiktheater VI, Spielzeit 1986/87, pp. 157-187.

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